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giovedì 29 ottobre 2020

NAPOLEONE E LA NASCITA DEL CONTROLLO STATALE DELLA SCUOLA (Pedagogia)

La nascita della scuola liceale

L'impero napoleonico sembrò chiudere per sempre la breve parentesi rivoluzionaria anche in campo educativo enon solo in quello politico, focalizzandosi sull'organizzazione di un sistema scolastico laico e statale.

Profondi cambiamenti interessarono l'istruzione secondaria. Mentre furono conservati gli istituti professionali creati negli anni rivoluzionari, la vera novità fu rappresentata dal liceo, che costituiva l'erede diretto del collegio. Nelle intenzioni di Napoleone il liceo avrebbe dovuto rappresentare la fucina della classe dirigente dell'impero. Nel corso liceale erano previste le scienze esatte, la storia contemporanea e la geografia. Il piano di studi rimase comunque incentrato sulle lingue classiche e sulle materie umanistiche, ancora una volta concepite come indispensabili per la formazione dell'uomo colto e per la preparazione delle élite.

Ciò che doveva davvero distinguere l'istruzione liceale era la sua organizzazione: il liceo si ispirava, da un lato, all'ex collegio gesuitico Louis-le-Grand di Parigi, dall'altro alle scuole militari. Vigeva quindi la massima disciplina.




Il sistema universitario

Definito l'aspetto dei livelli mediani dell'istruzione, fu l'università a ricevere l'attenzione di Napoleone. Il 17 marzo 1808 venne varata la legge che fondò l'università imperiale, composta da tante accademie quante erano le corti d'appello.

L'intero sistema scolastico era affidato a un grand maitre residente a Parigi, mentre le accademie erano governate da un rettore, nominato dallo stesso grand maitre ogni cinque anni.




Un forte controllo da parte dello Stato

Negli anni succesivi, Bonaparte cercò di rendere ancora più centralizzato e gerarchico il sistema scolastico imperiale, al fine di renderne più semplice ed efficace il controllo. Il fine era duplice: da un lato, si trattava di controllare i responsabili e i contenuti dell'insegnamento, al fine di essere sempre certi di ciò che i sudditi stavano imparando; dall'altro, per garantire la sopravvivenza delle scuole pubbliche era indispensabile circoscrivere quelle private, limitandone una volta per tutte l'espansione.




La scuola napoleonica in Italia

la legge del 1802 fu applicata anche nella Repubblica italiana e nel Regno d'Italia. Per sovrintendere al funzionamento delle scuole fu istituita la Direzione generale della pubblica istruzione, che si può ritenere l'antenato del ministero della pubblica istruzione.














mercoledì 28 ottobre 2020

LA RIVOLUZIONE E L'INFANZIA: DAL BAMBINO INNOCENTE AL FANCIULLO SOLDATO (Pedagogia)

L'utopia dell'uomo nuovo

Nel corso del decennio rivoluzionariola figura del bambino fu idealizzata: il bambino fu eletto a simbolo della purezza, dell'innocenza, della forza della Rivoluzione stessa. Tale idealizzazione costituì un elemento centrale della propaganda e dell'ideologia rivoluzionaria. La rigenerazione dell'uomo repubblicano non doveva essere solo morale, interiore, ma anche corporale, visibile. Nei progetti rivoluzioanri il lavoro manuale e la fatica fisica erano concepiti come mezzi efficaci per fortificare la volontà, infondendo lo spirito di sacrificio proprio del buon repubblicano. Si impongono così alla gioventù esercizi fisici, ginnici e militari.



L'assistenza all'infanzia

Analoghi cambiamenti si verificarono anche nel modo di intendere l'assistenza all'infanzia abbandonata e agli orfani. Nella prima fase della Rivoluzione per esempio, il duca di La Rochefoucauld-Liancourt  si occupò dei bambini abbandonati alla nascita nei brefotrofi.

Nel riprendere la pedagogia di Pestalozzi, La Rochefoucauld rimarcò l'importanza del legame affettivo madre-figlio. Inoltre solo l'educazione familiare poteva garantire una adeguata formazione morale.

Il 18 agosto 1792 venne promulgata una legge sull'adozione che però restò largamente disattesa , poichè poche furono le famiglie disposte ad adottare un bambino (esso veniva considerato un "figlio del peccato")



Orfani e piccoli soldati

In ogni caso, la legislazione rivoluzionaria attribuì allo Stato il compito di provvedere agli orfani e agli esposti, mettendoli sullo stesso piano dei bambini poveri con famiglia e nazionalizzando l'assistenza pubblica. Il decreto del 28 giugno 1793 definì infatti ufficialmente i trovatelli "figli naturali della patria". Questa "fratellanza laica" garantiva a tutti i bambini l'uguaglianza dei diritti.

L'infanzia, età della debolezza fisica e del non sapere, diveniva nel biennio giacobino modello di virtù morale e di coraggio militare. Il bambino simboleggiava insomma la nuova Francia rivoluzionaria, democratica e egualitaria. Si da piccoli i francesi dovevano quindi imparare a divenire cittadini-soldati. Si trattava di un progetto pedagogico utopico e totalitario. Lo scopo era quello di introdurre le masse ai valori repubblicani.

Il sistema educativo sarebbe stato improntato alla massima austerità e a controllo continuo: l'obiettivo era formare l'uomo nuovo, il vero repubblicano, l'uomo coscienzioso, dedito alla patria privo di superstizioni e moralmente integro.









 

martedì 27 ottobre 2020

L' EDUCAZIONE TRA RIVOLUZIONE FRANCESE E NAPOLEONE (Pedagogia)

Rivoluzione e istruzione

Lo scoppio, nel 1789, della Rivoluzione francese e, negli anni successivi, la condanna a morte di Luigi XVI e l'instaurazione della repubblica costituirono avvenimenti destinati ad avere conseguenze di notevole rilevanza.

In questo periodo si svolse un intenso dibattito sull'istruzione. Ad alimentare il dibattito furono gli idéologues, ovvero la generazione di uomini di cultura e scienziati successiva a quella dei philosophes (Voltaire, Diderot...).

In quegli anni si registrò un netto cambiamento del ruolo dell'istruzione, non tanto sul piano pratico, quanto in termini di analisi politica, specie tra il 1792 e il 1794, al tempo del governo di Robespierre e dei giacobini.




Nuove concezioni del cittadino e dello Stato

Sin dalle prime fasi la Rivoluzione francese introdusse non solo una nuova concezione di cittadino e di Stato, ma anche di uomo, inteso come soggetto portatore di diritti, prima ancora che di doveri. Il primo di questi diritti era quello all'istruzione e all'educazione. Fu a partire da questi princìpi che la Convenzione nazionale proclamò l'istruzione obbligatoria per tutti, anche per le donne, che erano state escluse dai progetti di riforma settecenteschi




lunedì 26 ottobre 2020

IL LAVORO (Sociologia)

La razionalizzazione del lavoro

L'esistenza della maggior parte delle persone nella nostra società è organizzata intorno ai vincoli e agli orari imposti da un tipo particolare di attività, che sembra avere per tutti un'importanza fondamentale: il lavoro.

L'ambito delle attività lavorative svolge un ruolo di primo piano sia nella vita personale sia in quella della collettività. Nella società moderna il lavoro è stato organizzato e ben suddiviso, con orari e date precise. In altre parole, si può dire che negli ultimi due secoli il lavoro è stato al centro di un imponente processo di razionalizzazione.





Coordinare gli sforzi

Ma cosa significa "razionalizzazione del lavoro"? Uno dei possibili aspetti di questo fenomeno il seguente: razionalizzare il lavoro significa coordinare gli sforzi. Oggi, infatti, ogni prodotto che acquistiamo è il risultato dell'azione coordinata di molte persone che svolgono mansioni differenti, ma connesse tra loro. le attività delle persone si possono quindi coordinare in vari modi. la forma più elementare e rudimentale di coordinamento si ha per esempio quando due o più persone collaborano nello stesso modo alla medesima operazione.

All'estremo opposto troviamo invece il caso in cui gli individui non solo fanno cose diverse, ma le svolgono anche in maniera da cooperare tra loro e potenziare con ciascuna attività i risultati dell'altra. Questo è il tipo di divisione del lavoro che contraddistingue la società moderna.



La semplificazione

Un altro significato per "razionalizzazione del lavoro" può essere questa: razionalizzare il lavoro significa semplificarlo. In passato il lavoro era artigianale e complesso. Con l'introduzione della manifattura come modalità diffusa, tra il XVIII e il XIX secolo, il lavoro e la manodopera cambiarono radicalmente, uscendone altamente meccanizzato, organizzato e semplificato.

Il lavoro si inserisce quindi in una struttura organizzativa più rigida e viene scomposto in operazioni più facili ed elementari. Operazioni che richiedono dunque meno impegno e minori capacità di esecuzione.



La standardizzazione

Da un ulteriore punto di vista, razionalizzare può essere sinonimo di standardizzare e organizzare. La semplificazione delle mansioni dell'operaio rispetto a quelle dell'artigiano consente infatti di riprodurle uguali innumerevoli volte, e quindi:

- di far svolgere il medesimo compito a un numero potenzialmente infinito di operai

- di coordinare in maniera ottimale le attività degli operai tra loro e con il funzionamento di macchinari più complessi.

Nacquero così i grandi sforzi di organizzazione del lavoro, da Frederick W. Taylor a Henry Ford. All'utilizzo di macchine sempre più produttive si accompagnò un'organizzazione del lavoro operaio che portava alla scomparsa di qualunque margine di discrezionalità e libertà operativa del lavoratore.


















domenica 18 ottobre 2020

JOHANN HEINRICH PESTALOZZI (Pedagogia)

 Vita e opere

Johann Heinrich Pestalozzi visse nella Svizzera tedesca nel periodo compreso tra l'Illuminismo e il Romanticismo. Nato a Zurigo nel 1746, rimase orfano di padre a cinque anni e fu allevato dalla madre.

Prima di aver terminato gli studi di diritto si affiliò alla Società elvetica e al movimento dei Patrioti. Lì conobbe Anna Schutthess, che sposò e con la quale avviò la prima impresa educativa, l'impresa agricola di Neuhof nel 1769. Si trattava di un istituto per ragazzi poveri che forniva un'istruzione elementare e preparava al lavoro. Qui egli applicò principi abbastanza tradizionali dell'educazione popolare: nozioni elementari di lettura e scrittura e l'apprendimento di un mestiere.



Il romanzo Leonardo e Gertrude 

Dopo aver scritto La veglia di un solitario (1780), Pestalozzi pubblicò la sua opera più famosa, il romanzo pedagogico Leonardo e Gertrude in quattro volumi, usciti tra il 1781 e il 1785. Questo libro segue in qualche modo l'esempio dell'Emilio di Rousseau (autore al quale pestalozzi si ispirava), per questo non is tratta di un trattato di pedagogia bensì di un romanzo pedagogico.

Dopo brevi esperienze scolastiche vissute a Stans e a Burgdorf, dal 1805 al 1824 Pestalozzi si dedicò anima e corpo all'istituto di Yverdon, che costituì la sua iniziativa scolastica più riuscita.

Morì nel 1827, poco dopo la chiusura della scuola. da poco aveva completato l'ultima sua opera, Il canto del cigno.


Il ruolo centrale della madre

L'apporto più originale di Pestalozzi riguarda oltre che il metodo didattico intuitivo adottato con i suoi allievi, il ruolo educativo della madre e il valore degli affetti. Se il pedagogista zurighese ha un debito con Rousseau nella concezione dell'infanzia educata nella libertà, è però figlio del Romanticismo nell'esaltare la madre educatrice e la forza dei sentimenti.

Laddove in precedenza la dolcezza e la tenerezza delle mamme erano state svalutate in favore di un approccio rigido, distaccato, severo, tipico dell'autorità paterna, Pestalozzi invertì la scala dei valori, additando agli uomini come educativo il modello femminile.


La madre come modello di dedizione educativa

L'instaurarsi di una salda relazione con la madre, sin dai primi giorni dopo la nascita, garantiva ai bambini un punto fermo, che sarebbe rimasto tale nel tempo. Grazie all'amore materno, osservava Pestalozzi, il figlio sviluppava la certezza di poter contare su una persona sicura e fidata. Nell'introiettare questo modello di dedizione, il bambino lo assorbiva per imitazione, acquisendo in tal modo il senso morale, la capacità di donarsi e di aiutare gli altri.

Per questo motivo Pestalozzi era contrario ai brefotrofi, perchè luoghi solo di assistenza nei quali non c'era calore materno: le madri avevano bisogno di strutture apposite che le tutelassero, le accogliessero e le proteggessero durante la gravidanza e nei primi mesi dopo il parto e che poi procurassero loro un lavoro per potersi mantenere, in modo che non fossero costrette ad abbandonare i loro figli in un istituto.










GEORG SIMMEL (Sociologia)

 La sociologia formale


L'analisi del berlinese Georg Simmel (1858-1918), a lungo trascurata, si concentra sullo sviluppo delle città e delle metropoli europee.
Prima di tutto ciò però, Simmel ha una visione particolare della sociologia. Nel riflettere su ciò che rende la sociologia una disciplina indipendente, egli ricorre, per distinguerla dalle altre scienze sociali, alla contrapposizione tra "forma" e "contenuto". Le altre scienze sociali si caratterizzano per il possesso di determinati contenuti.
In altri termini, la sociologia ha a che fare con ciò che Simmel chiama gli "eventi di associazione" a prescindere dai loro mutevoli contenuti. Ciò di cui si deve occupare sono allora i modi tipici attraverso cui le persone si relazionano, vale a dire le forme dello stare insieme.





La cultura metropolitana

Simmel è il primo grande studioso dei fenomeni sociali caratteristici degli enormi agglomerati metropolitani formatisi in seguito all'industrializzazione. E' proprio osservando con attenzione quanto accade a Berlino, che sviluppa la sociologia formale. Lì è testimone del passaggio dalle forme di vita più tradizionali a quelle moderne e tipiche della vita urbana.
La città è infatti un luogo in cui la razionalizzazione della società moderna (Weber) e la divisione del lavoro (Durkheim), raggiungono forme estreme. L'attività di ciascuno si specializza, ma nel contempo si circoscrive a poche azioni, ben conosciute e sempre uguali.
Tutto ciò crea una situazione nuova e molto "moderna": vale a dire la possibilità di vivere nell'indifferenza verso i propri simili, anche verso quelli con cui si entra quotidianamente in contatto.





La moda

La metropoli è quindi la sede fisica dei fenomeni sociali nuovi, tipici della società moderna. Uno dei più evidenti è il fenomeno della moda. La moda, anzitutto, nasce da una spinta all'imitazione, da un'esigenza delle persone di omologarsi, sicché si è portati a fare ciò che la massa fa.
Contemporaneamente però, la moda è anche un meccanismo attraverso il quale certe persone possono distinguersi dalla massa e introdurre nuove mode.
La moda, al di là dei comportamenti e del modo di vestirsi tipici di un certo periodo, è una forma di vita che comprende, l'uguaglianza e la differenziazione. Collegare e separare sono le sue due funzioni sempre presenti e implicate a vicenda.
Al principio del XX secolo, la moda è inoltre uno strumento a disposizione delle classi più elevate per distinguersi da quelle meno elevate. Chi l'adotta cerca la coesione con coloro che sono situati al suo medesimo livello sociale, marcando una netta cesura nei confronti dei membri delle classi da cui intende smarcarsi.

I MASS MEDIA (Sociologia)

Cosa sono i mass media?

I mass media rappresentano l'insieme dei mezzi d'informazione e di divulgazione che si servono di linguaggi facilmente comprensibili a qualsiasi livello culturale. Sono esempi di mass media i giornali, le riviste, il cinema, la radio e la televisione. I mass media vengono anche spesso chiamati "mezzi di comunicazione di massa".





La trasmissione dei modelli di comportamento

I mass media costituiscono un'agenzia di socializzazione (ovvero un soggetto sociale che svolge una qualsiasi attività di socializzazione) molto più fluida e informale rispetto alla famiglia e alla scuola. Il loro effetto socializzante non va però sottovalutato, dal momento che, diffondendo una serie di atteggiamenti, valori, opinioni, stili e modelli di vita, essi hanno un impatto e un peso culturale notevole sulla nostra società.

Questo effetto è particolarmente evidente nelle nuove generazioni, dove determinati modelli di comportamento trasmessi dai media diventano elementi di aggregazione e di scambio a livello di gruppo, come un capo di abbigliamento da indossare o il genere di musica da ascoltare. In questo modo i mass media non diffondono solo un patrimonio di conoscenze e di informazioni impensabile fino a poco tempo fa, ma rappresentano anche un formidabile meccanismo di omologazione culturale, cioè di produzione di modelli di comportamento.





Il rapporto con le altre agenzie di socializzazione

In quanto agenzie di socializzazione, i mass media interagiscono con gli altri soggetti, spesso più tradizionali, creando situazioni complesse. Non sapendo in che modo la televisione possa per esempio influire sulla famiglia o sui bambini.

Il pluralismo delle agenzie di socializzazione nella società contemporanea produrrebbe quindi una situazione di caos culturale: i media trasmetterebbero modelli di comportamento alternativi rispetto a quelli trasmessi dalle famiglie o dalla scuola.

Altri studiosi sostengono invece che le molteplici agenzie di socializzazione facciano parte di un sistema di interscambio e di influenze reciproche tale per cui i modelli culturali che vengono proposti da una qualsiasi di esse non sarebbero altro che un modo particolare in cui viene trasmessa la comune tradizione culturale della società. I mass media in questo caso non sarebbero una forma di disturbo, ma una "cassa di risonanza" per modelli di comportamento










ORIGINI DELLA PEDAGOGIA SCIENTIFICA/CLINICA (Pedagogia)

Le origini degli studi pedagogici clinici Sicuramente nella storia della pedagogia sono rintracciabili molteplici esempi di atteggiamento cl...