Le origini degli studi pedagogici clinici
Sicuramente nella storia della pedagogia sono rintracciabili molteplici esempi di atteggiamento clinico, a cominciare da quello proprio del “pedagogo”, cioè di colui che, nell’antico mondo greco-romano, accompagna il giovane rampollo di buona famiglia nei suoi spostamenti da casa a scuola ed ovunque debba recarsi, per l’espressione della cura che tale personaggio riversa nei confronti del fanciullo, dei suoi bisogni vitali e della sua educazione. C’è, tuttavia, soprattutto un autore che, sebbene con la sua vita abbia testimoniato tutta un’altra prospettiva, con le intuizioni del suo pensiero filosofico e pedagogico ha creato le condizioni perché altri potessero realizzare un vero studio fondativi dell’approccio clinico nei confronti della formazione dei giovani. Si tratta di J. J. Rousseau e della sua opera pedagogica principale, l’Emilio: un romanzo dove si narra della vita, dalla nascita ai vent’anni, di un giovane che si trova nel mondo nuovo sorto dal “Contratto sociale”.
A questo momento dell’evoluzione individuale “occorre studiare con cura il loro – dei ragazzi – linguaggio ed i loro segni, onde poter distinguere, in un’età in cui non sanno dissimulare, ciò dei loro desideri che viene immediatamente dalla natura – da valorizzare –, da ciò che viene dall’opinione – da limitare –. Lo spirito di queste regole è di accordare ai fanciulli maggior libertà reale e minor imperio – capriccio –, di lasciar ch’essi facciano di più da sé e meno esigano dagli altri”. Poi bisogna avvicinare alla lettura il fanciullo, mediante piccole e semplici comunicazioni scritte a lui dirette dalle persone vicine, anche se il libro nella sua educazione apparirà solo a 12 anni. A conclusione di questa prima lunga fase “la prima educazione deve essere dunque puramente negativa. Essa consiste non già nell’insegnare la virtù e la verità, ma nel preservare il cuore dal vizio e lo spirito dall’errore”. L’arte del precettore è quella del “governare senza precetti, far tutto senza far nulla”, un metodo inattivo che propugna non di guadagnare tempo, ma di perderne attraverso un’educazione indiretta.
Alla lunga infanzia subentra dai dodici ai quindici anni una fase che segna l’inizio dei lavori, dell’istruzione e dello studio, perché la natura sviluppa le forze del giovane adolescente più dei bisogni, perciò “fin qui non abbiamo conosciuto altra legge che quella della necessità: ora consideriamo ciò che è utile; arriveremo ben presto a ciò che è conveniente e buono”. “All’attività del corpo, che cerca di svilupparsi, succede l’attività dello spirito che cerca d’istruirsi” e in tale direzione s’avvia un’istruzione esplicita, pur tenendo sempre in evidenza lo stimolo dell’attenzione, che, sulla base dell’interesse, motiva anche un impegno con sforzo nel perseguimento dell’apprendimento, anche con la personale costruzione degli strumenti necessari, ma sempre al di fuori di confronti, rivali o gare, perché capaci di far “apprendere soltanto per gelosia o vanità”. Il precettore, invece, deve rendere evidenti i progressi del giovane, per stimolarlo senza farlo “geloso di nessuno. Egli vorrà sorpassarsi, lo deve; non vedo nessun inconveniente nel fatto che sia emulo di se stesso”.
Con i quindici anni si determina il passaggio dall’educazione utilitaria a quella sociale e morale, e anche in questo caso non si compie con discorsi o prediche, ma con l’esercizio della virtù e per poter realizzare questo esercizio, Emilio uscirà dalla sua situazione riservata e nascosta andando per il mondo nella società degli uomini, per sentirli parlare e per vederli agire; si tratta della seconda nascita, quella dell’adolescenza, dove si può pensare “come dai primi movimenti del cuore si levino le prime voci della coscienza, e come dai sentimenti d’amore e d’odio nascano le prime nozioni di bene e di male”. Dall’amor proprio nasce il sentimento di pietà e così Emilio farà la sua esperienza morale: conoscerà anche la storia per poter leggere meglio nei cuori e utilmente leggerà persino le favole. Parimenti, dunque, Emilio, agendo, imparerà le virtù sociali e a diciotto anni il suo senso estetico e il suo senso religioso incontreranno la loro prima educazione congiuntamente.
Altre pagine descriveranno poi l’entrata in società d’Emilio o, nel quinto volume, l’educazione della fanciulla, tuttavia l’importanza del lavoro per l’approccio clinico è già ampiamente testimoniata: a) dalla concezione dell’autonomia dei singoli stadi di sviluppo, pur immersi nella progressività unitaria del processo evolutivo, che rimane perenne monumento nella storia del pensiero, ovvero b) dall’attenta osservazione e descrizione delle competenze ai passaggi di stadio, quali espressione delle disposizioni fondamentali dell’essere umano, ovvero c) dall’utilizzare come strumento educativo principale la risorsa dell’attività interna spontanea, che però è guidata dall’accorta regia del pedagogista mediante l’utilizzo delle condizioni esterne. d) Non da ultima, infine, la cura ampiamente dimostrata nel testo per il fanciullo, i suoi bisogni e la sua crescita, poi testimoniata dalla sopportazione con cui l’A. ha sostenuto tutta la persecuzione culturale e sociale, ma anche poliziesca, che ne è nata.
Nessun commento:
Posta un commento