La lotta contro l'ignoranza
Appena "fatta l'Italia" la classe dirigente liberale che aveva animato la stagione risorgimentale si trovò di fronte a una realtà più complessa di quella che aveva preventivato. Ben presto si sperimentarono le difficoltà di creare una nazione unitaria: era difficile amalgamare realtà molto diverse non solo per tradizioni e abitudini sociali, ma anche per storie politiche.
Oggi diremmo che i governanti del secondo Ottocento si trovarono di fronte alla necessità di dar vita a una cittadinanza comune tra abitanti che spesso si sentivano ancora sudditi più che cittadini e talvolta era refrattari a seguire leggi necessarie ma impopolari.Le vie dell'alfabeto (diffusione dell'istruzione associata a sentimenti patriottici) furono subito individuate come particolarmente idonee per creare un tessuto omogeneo finalizzato a tenere insieme popolazioni che si sentivano più legate a vincoli locali che nazionali.
A fianco della scuola anche l'esercito rappresentò un fondamentale tassello per unificare i giovani italiani, poiché offriva loro l'opportunità non solo di partecipare alla retorica patriottica, ma anche semplicemente di entrare in contatto con i coetanei di regioni diverse
Ogni esperienza civile era infine ispirata alla sacralità della monarchia: il re era rappresentato come il padre di tutti gli italiani. e la regina come una sollecita madre.
Le proporzioni dell'analfabetismo
In poco più di mezzo secolo (1830-40/1900) l'Italia compì un decisivo passo verso l'analfabetismo, allineandosi a quanto stava accadendo già da tempo, nei paesi europei più sviluppati sul piano economico e civile.
Il primo censimento nazionale svoltosi all'indomani dell'Unità (1861) documentò l'ampiezza del fenomeno dell'analfabetismo. I sei milioni di italiani dichiarati "alfabeti" rappresentavano un quarto della popolazione, pochi rispetto ai 17 milioni di italiani analfabeti.
Quarant'anni più tardi, nel 1901, gli analfabeti costituivano ancora circa il 50% della popolazione. Erano però in prevalenza persone avanti con gli anni, anche se persisteva una quota di bambini che, nonostante ogni sforzo delle autorità, non frequentava o abbandonava precocemente la scuola.
Saper leggere, scrivere e contare non furono più considerate abilità confinate nella dimensione privata e lasciate perciò alla libera scelta dell'individuo. Esse furono sempre più strettamente associate all'evoluzione sociale, economica e civile. Di qui i vincoli di obbligatorietà con cui lo Stato procedette alla scolarizzazione delle giovani generazioni.Nel 1877 il ministro Michele Coppino rese più severo l'obbligo dei genitori di inviare i figli a scuola fino al punto di multare gli inadempienti.
Dalla società analfabeta alla società alfabeta
Si delineò gradualmente una realtà del tutto diversa rispetto ai primi decenni del 1800. Fino ad allora la persona analfabeta era normalmente accettata e il giudizio sociale espresso su di essa era indipendente dalle sue capacità di lettura, scrittura e calcolo.
La lotta contro l'ignoranza dovette misurarsi con difficoltàdi ogni genere. Tra queste spiccano l'arretratezza dell'economia, la povertà della popolazione, gli squilibri territoriali nella distribuzione delle scuole, l'indifferenza dei genitori, l'ostilità di una parte del clero e i timori della stessa classe dirigente che vedeva nelle eccessive capacità di lettura e scrittura dei potenziali problemi sociali.Alfabetizzazione e scolarizzazione
Parlare di alfabetizzazione significa considerare la molteplicità dei processi con cui ci si impadronisce del leggere, scrivere e far di conto, fenomeno che non si realizza solo nella scuola, ma si compie mediante varie iniziative.
Con il termine scolarizzazione si indica invece in modo più specifico la frequenza della scuola.
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