Cerca nel blog

lunedì 8 marzo 2021

ORIGINI DELLA PEDAGOGIA SCIENTIFICA/CLINICA (Pedagogia)

Le origini degli studi pedagogici clinici

Sicuramente nella storia della pedagogia sono rintracciabili molteplici esempi di atteggiamento clinico, a cominciare da quello proprio del “pedagogo”, cioè di colui che, nell’antico mondo greco-romano, accompagna il giovane rampollo di buona famiglia nei suoi spostamenti da casa a scuola ed ovunque debba recarsi, per l’espressione della cura che tale personaggio riversa nei confronti del fanciullo, dei suoi bisogni vitali e della sua educazione. C’è, tuttavia, soprattutto un autore che, sebbene con la sua vita abbia testimoniato tutta un’altra prospettiva, con le intuizioni del suo pensiero filosofico e pedagogico ha creato le condizioni perché altri potessero realizzare un vero studio fondativi dell’approccio clinico nei confronti della formazione dei giovani. Si tratta di J. J. Rousseau e della sua opera pedagogica principale, l’Emilio: un romanzo dove si narra della vita, dalla nascita ai vent’anni, di un giovane che si trova nel mondo nuovo sorto dal “Contratto sociale”.




Da ciò si dipana un completo percorso d’educazione naturale, unica formula che permette di salvaguardare nel formando la sua “vocazione d’uomo”, liberando in altre parole le sue energie interne di sviluppo senza direzionamenti e costrizioni esterne che ne indirizzino il naturale evolvere. Tale sviluppo, dunque, si determina attraverso periodi che hanno caratterizzazioni e configurazioni proprie (autonome e specifiche), pur nella continuità dei processi evolutivi che si susseguono fino alla maturità (educazione progressiva). In tale prospettiva fino a dodici anni Emilio non avrà altro compito che quello di sviluppare il corpo ed esercitare i sensi in un ambiente naturale di campagna per ragioni igieniche e morali, perché “le città sono le voragini della specie umana”. Il precettore, dopo la nutrice nella prima infanzia, avrà il compito di seguire il piccolo, controllando ogni cosa, osservando l’emergere delle prime capacità intellettive e accuratamente valorizzando il suo movimento spontaneo, col portare il bambino da un posto all’altro per fargli percepire il cambiamento di luogo e le distanze, ovvero nel contatto e nella manipolazione d’ogni cosa presente nel suo ambiente (educazione attiva). Crescendo, intanto, le energie aumentano e il comportamento diventa più controllato, “l’anima e il corpo si mettono, per così dire, in equilibrio e la natura non richiede più che il movimento necessario alla nostra conservazione”.



A questo momento dell’evoluzione individuale “occorre studiare con cura il loro – dei ragazzi – linguaggio ed i loro segni, onde poter distinguere, in un’età in cui non sanno dissimulare, ciò dei loro desideri che viene immediatamente dalla natura – da valorizzare –, da ciò che viene dall’opinione – da limitare –. Lo spirito di queste regole è di accordare ai fanciulli maggior libertà reale e minor imperio – capriccio –, di lasciar ch’essi facciano di più da sé e meno esigano dagli altri”. Poi bisogna avvicinare alla lettura il fanciullo, mediante piccole e semplici comunicazioni scritte a lui dirette dalle persone vicine, anche se il libro nella sua educazione apparirà solo a 12 anni. A conclusione di questa prima lunga fase “la prima educazione deve essere dunque puramente negativa. Essa consiste non già nell’insegnare la virtù e la verità, ma nel preservare il cuore dal vizio e lo spirito dall’errore”. L’arte del precettore è quella del “governare senza precetti, far tutto senza far nulla”, un metodo inattivo che propugna non di guadagnare tempo, ma di perderne attraverso un’educazione indiretta.



Alla lunga infanzia subentra dai dodici ai quindici anni una fase che segna l’inizio dei lavori, dell’istruzione e dello studio, perché la natura sviluppa le forze del giovane adolescente più dei bisogni, perciò “fin qui non abbiamo conosciuto altra legge che quella della necessità: ora consideriamo ciò che è utile; arriveremo ben presto a ciò che è conveniente e buono”. “All’attività del corpo, che cerca di svilupparsi, succede l’attività dello spirito che cerca d’istruirsi” e in tale direzione s’avvia un’istruzione esplicita, pur tenendo sempre in evidenza lo stimolo dell’attenzione, che, sulla base dell’interesse, motiva anche un impegno con sforzo nel perseguimento dell’apprendimento, anche con la personale costruzione degli strumenti necessari, ma sempre al di fuori di confronti, rivali o gare, perché capaci di far “apprendere soltanto per gelosia o vanità”. Il precettore, invece, deve rendere evidenti i progressi del giovane, per stimolarlo senza farlo “geloso di nessuno. Egli vorrà sorpassarsi, lo deve; non vedo nessun inconveniente nel fatto che sia emulo di se stesso”.



Con i quindici anni si determina il passaggio dall’educazione utilitaria a quella sociale e morale, e anche in questo caso non si compie con discorsi o prediche, ma con l’esercizio della virtù e per poter realizzare questo esercizio, Emilio uscirà dalla sua situazione riservata e nascosta andando per il mondo nella società degli uomini, per sentirli parlare e per vederli agire; si tratta della seconda nascita, quella dell’adolescenza, dove si può pensare “come dai primi movimenti del cuore si levino le prime voci della coscienza, e come dai sentimenti d’amore e d’odio nascano le prime nozioni di bene e di male”. Dall’amor proprio nasce il sentimento di pietà e così Emilio farà la sua esperienza morale: conoscerà anche la storia per poter leggere meglio nei cuori e utilmente leggerà persino le favole. Parimenti, dunque, Emilio, agendo, imparerà le virtù sociali e a diciotto anni il suo senso estetico e il suo senso religioso incontreranno la loro prima educazione congiuntamente.



Altre pagine descriveranno poi l’entrata in società d’Emilio o, nel quinto volume, l’educazione della fanciulla, tuttavia l’importanza del lavoro per l’approccio clinico è già ampiamente testimoniata: a) dalla concezione dell’autonomia dei singoli stadi di sviluppo, pur immersi nella progressività unitaria del processo evolutivo, che rimane perenne monumento nella storia del pensiero, ovvero b) dall’attenta osservazione e descrizione delle competenze ai passaggi di stadio, quali espressione delle disposizioni fondamentali dell’essere umano, ovvero c) dall’utilizzare come strumento educativo principale la risorsa dell’attività interna spontanea, che però è guidata dall’accorta regia del pedagogista mediante l’utilizzo delle condizioni esterne. d) Non da ultima, infine, la cura ampiamente dimostrata nel testo per il fanciullo, i suoi bisogni e la sua crescita, poi testimoniata dalla sopportazione con cui l’A. ha sostenuto tutta la persecuzione culturale e sociale, ma anche poliziesca, che ne è nata.



IL PROCESSO DI SOCIALIZZAZIONE (Sociologia)

La socializzazione

Per 'socializzazione' si intende il complesso processo attraverso il quale l'individuo diventa un essere sociale, integrandosi in un gruppo sociale o in una comunità. Tale concetto sottolinea come lo sviluppo della personalità non sia determinato univocamente né da fattori genetici né da fattori ambientali, bensì dall'interscambio dinamico e contingente tra individuo e ambiente. Attualmente, la socializzazione costituisce una delle principali tematiche delle scienze sociali, in particolare della sociologia, della psicologia e della scienza dell'educazione, che analizzano lo sviluppo dell'individuo e l'apprendimento focalizzando l'attenzione sulle dimensioni sociali e individuali dei processi di formazione della persona e di partecipazione ai vari aspetti della vita sociale.La socializzazione riflette il contesto sociale dello sviluppo dell'individuo e il rapporto dinamico tra individuo e società. In termini generali, essa può essere definita come trasformazione dell'essere biologico in un essere sociale caratterizzato da uno specifico modello culturale di percezione della realtà. La socializzazione comporta l'integrazione o l'adattamento degli individui in varie strutture e relazioni sociali, rappresentate dalla classe, dalla famiglia, dai reticoli, dalla scuola e dall'ambiente di lavoro.



In sociologia il concetto di socializzazione viene usato per indicare il trasferimento intergenerazionale di valori culturali, sistemi simbolici e norme sociali. Questa prospettiva mette in risalto la continuità dei sistemi sociali che dovrebbe essere garantita dalla socializzazione del bambino e dell'adolescente in conformità alle norme e ai valori dominanti.



Il concetto di socializzazione si basa su un assunto ambivalente: da un lato infatti esso fa riferimento all'acquisizione nel corso dell'infanzia e dell'adolescenza di modelli comportamentali rappresentati dalla generazione dei genitori; dall'altra presuppone lo sviluppo dell'individuo come attore indipendente e socialmente competente di un complesso di relazioni sociali. Questa ambivalenza ha un carattere fondamentale: la "costruzione sociale della realtà" richiede la costante acquisizione pratica e teorica della realtà sociale nel processo di sviluppo dell'individuo, e nello stesso tempo l'adattamento ad un mondo preesistente di simboli, mezzi di comunicazione, istituzioni e strutture di potere e di produzione.






Poiché il concetto di socializzazione non si basa né sul determinismo biologico (programma genetico) né sul determinismo ambientale (programma sociale), esso introduce una prospettiva teorica più ampia, in cui sia lo sviluppo dell'individuo, sia la continuità dei sistemi sociali vengono ricondotti all'articolazione tra bisogni, capacità e fini individuali da un lato, e condizioni di vita e norme sociali dall'altro. Questa interrelazione non implica necessariamente né un conflitto tra individuo e società, né un ciclo stabilizzante di riproduzione ideologica e sociale della società. Se la socializzazione è intesa in questi termini, come realizzazione attiva del potenziale umano nel contesto di strutture sociali di produzione e riproduzione, lo sviluppo dell'individuo include anche le potenzialità per il mutamento sociale.



Come nasce il concetto di socializzazione?

Esiste una lunga tradizione di pensiero nella filosofia e nella teoria sociale secondo la quale lo sviluppo dell'individuo è condizionato dalle situazioni materiali e sociali. Thomas Hobbes, il quale metteva l'accento sul controllo sociale dell'egoismo e dei bisogni umani, e Jean-Jacques Rousseau, che propugnava invece lo sviluppo autonomo dell'individuo, esemplificano le due posizioni contrapposte. Karl Marx dal canto suo mise in luce l'interrelazione tra le condizioni storiche e sociali da un lato e la struttura della personalità dall'altro, definendo l'individuo come "un insieme di relazioni sociali".






Un primo, importante, contributo alla teoria della socializzazione fu fornito dal sociologo francese Émile Durkheim (1858-1917), secondo il quale né il controllo sociale né i bisogni individuali possono spiegare l'integrazione degli individui in una comunità caratterizzata da un elevato livello di divisione sociale del lavoro. I membri di una collettività devono interiorizzare l'agenzia di controllo sociale per poter creare i presupposti della solidarietà sociale. Durkheim conia a questo proposito il concetto di "coscienza collettiva", riferendosi ai valori e alle norme condivise e alle attitudini generali di un gruppo o di una collettività che vengono interiorizzati dai singoli membri. Il compito primario dell'educazione, che Durkheim definisce come "socialisation méthodique", è quello di inculcare nella coscienza dei singoli individui le norme e i valori che sono alla base di un sistema sociale.








Il concetto di socializzazione venne introdotto per la prima volta nella sociologia statunitense da E.A. Ross (1896) e da F.H. Giddings (1897) per indicare il processo di integrazione sociale degli individui. Affermatosi negli Stati Uniti a partire dagli anni quaranta, il concetto moderno di socializzazione venne ripreso e adattato dalla sociologia europea nell'ambito degli studi sulla famiglia, sui giovani e sull'educazione, nonché in quello della psicologia evolutiva.

L'attenzione si focalizzava principalmente sul rapporto tra classe sociale, linguaggio e rendimento scolastico. Negli anni ottanta si è verificata una tendenza alla convergenza teorica tra i vari indirizzi, esemplificata dal Neues Handbuch der Sozialisationsforschung, sebbene continuino a sussistere tipiche differenze tra le tematiche privilegiate dalle varie scuole nazionali: classe sociale, etnicità e ineguaglianza in quella americana, esclusione sociale, barriere linguistiche ed educazione in quella anglosassone, ineguaglianza educazionale e coscienza di classe in quella francese, ineguaglianza sociale ed educativa, percorso di vita individualizzato in quella tedesca. La ricerca sulla socializzazione in Germania si caratterizza inoltre per il tentativo di integrare l'approccio storico e quello sistematico in un quadro concettuale unitario.


























IL DISORDINE (Sociologia)

Il mutamento sociale

L'espressione mutamento sociale fu coniata dalla sociologia statunitense negli anni 1920-30, ma il fenomeno era già stato trattato in quasi tutti i testi di riferimento della disciplina. L'affermazione del termine costituiva a sua volta un riflesso delle trasformazioni sociali indotte dall'industrializzazione, rispecchiando anche la consapevolezza che il mutamento sociale era divenuto un elemento costitutivo delle società moderne.

Solo dagli anni 1960-70, quando la "Storia sociale" acquisì importanza a scapito della "Storia politica", incentrata su eventi e persone e fino allora predominante, la storiografia svizzera affrontò questioni di storia delle strutture. Tra i pochi studiosi che già in precedenza si erano confrontati con tali problematiche figurano Eduard Fueter e William Emmanuel Rappart, che si occuparono delle trasformazioni economiche e sociali, nonché Robert Grimm e Valentin Gitermann, che scelsero un approccio marxista. L'avvento della "Storia culturale" nel decennio 1980-90 diede ulteriori impulsi all'analisi dei mutamenti sociali; nello stesso tempo il concetto di mutamento fu interpretato in senso lato e in maniera meno restrittiva che in passato.



Nell'ambito delle scienze sociali sono state elaborate diverse teorie per spiegare la rapidità, la portata, la direzione, la governabilità e le forze propulsive dei mutamenti sociali. Le trasformazioni avvengono in maniera repentina o graduale, seguono un percorso lineare, discontinuo o ciclico, riguardano l'intera società o singoli settori, hanno origini endogene o esogene, assumono una direzione precisa o proseguono in maniera casuale, obbediscono a regole che lasciano un certo margine all'iniziativa personale o collettiva oppure avvengono in maniera spontanea, non prevista dall'uomo. Dato che ogni analisi del mutamento sociale non può prescindere dal dualismo tra stasi e dinamismo, in ambito scientifico risulta particolarmente proficuo lo studio delle crisi e dei conflitti sociali.







Muovendo da una visione filosofica della storia, in passato sociologi come Karl Marx, Herbert Spencer, Emil Durkheim e Max Weber interpretarono il mutamento sociale come progresso verso una società senza classi e quale processo tendente a una maggiore flessibilità, differenziazione o razionalizzazione, cercando inoltre di individuarne le cause e ponendo la società moderna in antitesi alle società comunitarie tradizionali.
Oggi al contrario si tende a sottolineare il carattere contingente del mutamento sociale, le sue conseguenze ambivalenti sulle persone e le sue interrelazioni funzionali.

La perdita di significato delle norme sociali tradizionali e l'affermazione di nuovi valori e pratiche vengono rappresentate come un difficile processo di apprendimento, che porta a una coesistenza carica di tensioni tra vecchio e nuovo, in cui gli interessi contrastanti a volte si scontrano violentemente.












DISUGUAGLIANZA, STRATIFICAZIONE E CONFLITTO (Sociologia)



La stratificazione per nascita

Nelle società più antiche le posizioni all'interno della stratificazione, e quindi anche le possibili disuguaglianze sociali, sono attribuite in gran parte per nascita. Questo è il caso dell'antico sistema indiano di stratificazione sociale secondo il quale si apparteneva a una certa casta in virtù di quella di appartenenza dei genitori, perciò il passaggio da una casta all'altra, essendo i matrimoni misti vietati, era praticamente impossibile.

Nelle società in cui la stratificazione si basa sul principio dell'appartenenza per nascita si ha un grado molto basso di mobilità sociale, giacchè la possibilità per ciascuno di cambiare la propria posizione nella gerarchia sociale è minima.


La stratificazione per acquisizione

Diverso è il caso delle società occidentali che hanno vissuto il processo di industrializzazione. In esse infatti, la gerarchia delle posizioni sociali non è stabilita per nascita, ma viene acquisita nel corso dell'esistenza in virù di una serie di fattori legati alla vita individuale (arricchimento, cultura, conquiste lavorative...).

Uno dei principali indicatori della propria posizione sociale è divenuto, per esempio, nella nostra società, il denaro. E poichè esso è estremamente "volatile", altrettanto volatile è la stratificazione sociale basata sul denaro.




giovedì 18 febbraio 2021

LE NUOVE PROFESSIONI EDUCATIVE (Pedagogia)

Maestri e maestre

I cambiamenti che percorsero l'Italia alfabeta e scolastica tra primo e secondo Ottocento furono segnati anche da importanti trasformazioni riguardanti le figue educative impegnate nel campo dell'istruzione e dell'educazione. La principale fu rappresentata dal costituirsi della moderna figura del maestro elementare. 

Nel corso del XIX secolo si costituì progressivamente un gruppo di persone professionalmente dedicate all' insegnamento primario.

Ben presto ai maestri si affiancarono le maestre. La crescita delle insegnanti donne fu impetuosa: nell'anno scolastico 1863-1864 i maestri in servizio erano 18.443 e le maestre 15.820; nel 1875-1876 erano 23.267 maestri e 23.818 maestre, mentre nel 1901 i maestri erano appena 21.178 contro le 44.561 maestre.

Le donne si avvantaggiarono del fatto che la professione magistrale si rivelò sempre meno attraente per gli uomini per vari motivi: l'espansione dell'attività industriale, l'attrattiva delle professioni contabili e commerciali e gli stipendi poco allettanti.  Le maestre rimanevano comunque più adatte all'insegamento infantile.




Il professore di ginnastica

Una inedita figura educativa è quella dell'insgenante di ginnastica. In un primo tempo i maestri di ginnastica esercitarono la loro professione fuori dalla scuola, nelle Società di Ginnastica che si costituirono in varie parti d'Italia a partire dal 1840-1850 e poi, dal 1878, come docenti.

La diffusione dell'esercizio fisico costituisce un fattore di modernizzazione notevole dello stile di vita ottocentesco. Sono soprattutto i medici a sollecitare l'esercizio ginnico, soprattutto per quelli "rachitici"


 


  

mercoledì 17 febbraio 2021

L'EDUCAZIONE DEGLI ADULTI (Pedagogia)

Le scuole per soldati

Se si voleva rapidamente sconfiggere l'ignoranza non bastava far andare a scuola i bambini, occorreva agire anche sugli adulti. Tra Ottocento e primo Novecento si moltiplicarono le iniziative per scolarizzare quote significative di adulti analfabeti. Per fare ciò si utilizzarono diversi metodi, tra cui spiccano però le cosidette "scuole reggimentali", istituite come vere e proprie scuole per soldati.



Scuole serali e festive

Altri luoghi dell'educazione adulta furono le scuole serali e festive, che spesso erano gestite dagli stessi maestri e maestre che insegnavano al mattino ai bambini. Queste scuole erano finanziate, in genere, non dallo Stato, ma da Comuni e privati, benefattori e filantropi.



L'istruzione tecnica popolare e agraria

Non vanno inoltre sottovalutate le esigenze espresse dalle nuove forme di produzione industriale, almeno là dove queste cominciavano a prendere piede, in particolare nel triangolo piemontese-lombardo-ligure. Per quanto risultasse ancora preponderante nelle attività produttive l'esercizio della forza fisica, apparivano in molti casi necessari competenze più avanzate in campo meccanico, elettrico, chimico ecc..., alle quali si poteva accedere solo se già si disponeva del bagaglio alfabetico minimo.

Apposite scuole sostenute economicamente dagli stessi imprenditori consentirono specialmente ai più giovani di migliorare la qualità della propria vita.

Qualcosa di analogo accadde anche in campo agricolo in relazione agli sforzi compiuti per propagandare nuove pratiche di coltivazione e aumentare i rendimenti della terra, giudicata la prima ricchezza della nazione.

Numerose forme di istruzione agraria popolare furono predisposte nell'ambito dell'attività delle Cattedre ambulanti di agricoltura, spesso realizzate per iniziativa dei Comuni e sostenute anche dal Ministero dell' Agricoltura.





La Società di Mutuo Soccorso

Particolarmente attive furono, inoltre, le Società di Mutuo Soccorso, soprattutto fra gli operai e gli artigiani. Esse si costituirono a partire dalla metà del secolo sia con scopi previdenziali sia con scopi rivendicativi simili a quelli oggi esercitati dai sindacati.

Attraverso l'istruzione e la preparazione al mestiere, le Società di Mutuo Soccorso puntarono a stimolare nei ceti artigiani e operai una mentalità fondata su un rapporto stretto fra il lavoro manuale e le cognizioni tecniche e scientifiche.









mercoledì 30 dicembre 2020

LA DIFFUSIONE DELLA SCUOLA (Pedagogia)

L'istruzione obbligatoria

La scolarizzazione obbligatoria dei bambini fu ovviamente in prima linea nella lotta contro l'ignoranza. Il modello dell'istruzione ottocentesca è molto diverso dalla scuola dei secoli precedenti, ed è legato a una frequenza obbligatoria, non più gestita in prevalenza da personale religioso, ma laico.

La scuola elementare venne ordinata come un unico tipo di scuola volta a soddisfare sia le esigenze di chi continuava gli studi sia quelle di chi la frequentava per pochi anni.

La diffusione dell'istruzione fu uno degli strumenti attraverso cui lo Stato liberale rafforzò la sua influenza sulla società, lottando contro i particolarismi e le superstizioni tradizionali.




Un lento sviluppo scolastico

Il cammino verso la piena scolarizzazione infantile procedette infatti lentamente nonostante l'apertura di molte scuole. Esse erano molto più numerose nel Nord Italia, meno diffuse nel Sud dove si registrava un tasso di analfabetismo più elevato della media nazionale.



Per avere un'idea della realtà italiana rispetto a quella europea basta ricordare che all'inizio del Novecento gli analfabeti in Inghilterra erano il 3% della popolazione adulta, quelli francesi il 5% e quelli belgi circa il 12%.

Uno degli aspetti più innovativi rispetto alla realtà d'inizio secolo fu rapprezentato dalla scolarizzazione femminile, con la conseguente riduzione della forbice tra l'analfabetismo maschile e quello femminile. Per esempio è stato dimostrato che, anche se alfabetizzate, le donne disponevano in generale di un bagaglio tecnico più approssimativo dei loro coetanei 

 






ORIGINI DELLA PEDAGOGIA SCIENTIFICA/CLINICA (Pedagogia)

Le origini degli studi pedagogici clinici Sicuramente nella storia della pedagogia sono rintracciabili molteplici esempi di atteggiamento cl...